Euro troppo forte: perché non è una buona notizia

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euro dollaroQuando si parla di euro siamo spesso di fronte paradossi. In questo periodo, la zona euro stenta a vedere una ripresa dell’economia e una crescita del PIL, eppure la moneta unica è più forte che mai rispetto al dollaro, con una rivalutazione che si aggira intorno al 10% negli ultimi due anni.

Le cause sono svariate. Una è sicuramente costituita dalla precarietà del futuro dell’economia statunitense, messa in pericolo dai disaccordi sulla gestione del debito pubblico. Anche l’Abenomics giapponese porta a un apprezzamento dell’euro. Sta di fatto che l’euro sta diventando sempre forte, tagliando le gambe all’export delle merci ovvero facendo perdere competitività alle imprese. Certo, la sfida che sta davanti all’economia europea sta anche nel migliorare la produttività, nel favorire l’innovazione e nello riuscire a conquistare i nuovi mercati, quelli dei Paesi emergenti.

Comunque, il problema della rivalutazione dell’euro non attiene soltanto agli effetti deleteri sulle esportazioni, ma anche a quelli riguardanti il prodotto interno lordo e l’inflazione. Stiamo infatti testimoniando un surplus nella bilancia commerciale di nazioni come l’Italia e la Spagna, che è determinato da una quantità troppo alta di risparmio dei privati, unita a una scarsa domanda di consumo e a deboli investimenti. Gli istituti di credito tendono a non prestare denaro per sistemare i bilanci, bensì a comprare titoli pubblici. Da un lato questo significa che il debito pubblico è sempre più in mani italiane e quindi meno soggetto alla volatilità provocata dagli investitori stranieri, però significa anche tenere in stallo l’economia.

Inoltre, la forza dell’euro provoca una tendenza al ribasso dei prezzi: siamo in una fase di disinflazione, che potrebbe trasformarsi presto in deflazione, ovvero in una discesa dei prezzi in modo generalizzato, che avrà un’ulteriore effetto negativo sulla quantità dei consumi: nessuno vuole spendere oggi se sa che domani pagherà meno – e questo deprimerà ulteriormente la crescita economica e renderà sempre più difficile la sostenibilità del debito, spingendo l’economia verso la stagnazione.


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