WOBI World Business Forum Milano 2020 – tutto digitale

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Courtesy of WOBI

Quest’anno il WOBI World Business Forum 2020 di Milano cambia forma. La pandemia da COVID19 lo ha trasformato: è diventato un evento solo digitale ma, in realtà, è anche più intenso e più coraggioso di ogni precedente.

Personalmente, posso dire di aver assistito ad una delle edizioni più interessanti: ho ascoltato note non banali e vere e proprie provocazioni che hanno generato riflessioni profonde nel mio modo di percepire business e persone.

Il tema di questo WOBI 2020 è REMAKERS e si rivolge a chi deve pensare, organizzare, definire ma anche pianificare, affrontare, guidare o ispirare un REMAKE. Remake di qualcosa, di un prodotto, di un organizzazione, di un successo. Remake di un team, di una strategia, di una carriera.

REMAKE al WOBI 2020 significa ripensare le aziende, riconnettersi alle persone e reinventare il business.

Perché serve un remake? Perché tutto quello che è stato fatto, inventato, creato non basta più. Perché per mantenere una posizione di leadership in qualsiasi mercato serve innovare, serve attivare nuove dinamiche per creare più distanza con i propri competitor. Ma anche perché intorno a noi c’è un contesto che cambia continuamente, una tecnologia che va velocissimo e un audience che si trasforma ogni giorno ed evolve.

Al WOBI 2020 gli speaker sono tanti, diversi ma quello che incanta ogni volta è che ognuno descrive la realtà che vede con un frame unico, diverso da quello di chiunque altro.

La lista è lunga:

  • Seth Godin
  • Lynda Gratton
  • Daniel Lamarre
  • Guy Kawasaky
  • Ram Charan
  • Amy Webb
  • Rachel Botsman
  • Carla Harris
  • James Cameron
  • Dave Ulrich

Tra di loro ci sono studiosi di economia e di marketing, scrittori di fama mondiale, manager, artisti, consulenti e professori delle più prestigiose università del mondo: tutte persone che hanno storie dense di esperienze, di relazioni e di sbagli anche.

Ed ognuno di loro ha delle intuizione rilevanti da condividere, intuizioni che ispirano e aprono cassetti e orizzonti. Per fortuna, ognuno di loro vede con lenti e occhiali differenti e queste visioni, tutte insieme, arricchiscono la mia!

Seth Godin, il guru del marketing

A Seth Godin è assegnato il primo intervento di WOBI 2020 e si conferma all’altezza delle mie aspettative. Racconta il marketing proprio come lo immagino io, come lo voglio io: fatto di valore e di percezione. Dice la sua vera funzione è quella di:

“make things better & make better things”

La sua è una lezione profonda e vera, è come bere alla fonte e non dalla bottiglia. Le sue sono intuizioni fortissime che vibrano ancora mentre le dice, si sente che arrivano dallo studio, dalla passione e da un’esperienza di lavoro e vita intrecciate.

Lynda Gratton

Lo speech di Lynda Gratton a WOBI 2020 è inatteso, non mi aspetto nulla di simile. Inizia con considerazioni fredde, anche gelide a pensarci bene: racconta uno scenario futuro imprevedibile e nuovo, mai esistito prima. Dice che la vita umana si sta allungano (ogni 10 anni le persone vivono, ion media, 2-3 anni in più), dice che è presumibile che io arrivi a 90 anni e che i miei figli raggiungano i 100 senza problemi. Secondo Lynda, che ha appena terminato una ricerca in Giappone, il paese più “vecchio” del mondo, tutti noi vivremo piò a lungo, ma anche più in salute per fortuna.

Anche la tecnologia però. La Gratton racconta una tecnologia sempre più fine, sempre più AI che sta cambiando tutti i nostri lavori. Più un lavoro è routinario, più è facile che nel prossimo futuro sia rimpiazzato da quello di un robot, di un chatbot, di una macchina ad intelligenza artificiale.

Da qui la considerazione agghiacciante: che faremo in tutti questi anni che abbiamo davanti se sarà la tecnologia a svolgere la maggior parte dei lavori?!?!?

Dovremo reinventare qualcosa.

La sua ricetta è semplice. Secondo Lynda Gratton il segreto è in 3 step:

  • prendere consapevolezza del corso della propria vita
  • non smettere mai di immaginare ed esplorare nuovi e diversi futuri sé
  • costruire relazioni umane nuove, uniche, diverse.

A new narrative: una nuova visione e narrazione del corso della propria vita. Mi è piaciuta da morire la riflessione sul punto da cui guardiamo la nostra vita. C’è chi assume una prospettiva “hilltop“, dalla sommità di una collina. Un po’ come se quello che viviamo fosse il punto più alto e guardassimo il passato voltandoci indietro e il futuro volgendo lo sguardo in avanti. Così, però, i punti più lontani della linea della vita si vedono male e non se ne ha consapevolezza piena, non si riesce a metterli in correlazione con il presente.

Per questo, però, c’è la prospettiva “birdeye“: quella che avremmo se fossimo degli uccelli che volano in alto e vedono ogni sezione della vita, ogni tassello. E’ una prospettiva davvero completa quella che emerge perché riesce a farci guardare distintamente il passato e il futuro dando loro la stessa rilevanza. Questa è l’unico punto di vista che consente di immaginare i sé futuri e scegliere a quale avvicinarsi. “A cosa devo dare priorità oggi se voglio diventare quella me?”.

Courtesy of WOBI

Il secondo aspetto è l’exploration e l’immaginazione di nuovi sè. La base per questa fase è la formazione, lo studio e la creazione di nuovi skills e nuove competenze che siano la base da cui scegliere una nuova strada, un nuovo lavoro, una nuova versione di se stessi.

E ultimo consiglio: relate! Creare reti, network e communities, relazionarsi, prendersi cura degli altri e creare un reticolo di legami e relazioni che trasformino il nostro impatto e lo rendano più forte e più a lungo.

Solo così arriveremo in salute alla nostre miglior versione di noi stessi!

Daniel Lamarre, la magia della creatività

Daniel Lamarre, CEO di Cirque du Soleil, apre il suo intervento a WOBI 2020 ammettendo, con orgoglio, che nonostante incassino (da mesi ormai) revenues ZERO, Cirque du Soleil non si è fermata. Mi emoziona sentirgli dire che stanno ragionando come fossero una start-up che ha come obiettivo quello di ripartire e ricominciare a far sognare il suo pubblico il prima possibile.

Il suo è un intervento molto emozionante perché alterna il suo speech con alcuni video degli show più famosi e più belli di Cirque du Soleil e affronta 3 temi in particolare:

  • l’importanza del brand e la cura che ogni business dovrebbe riservare a questo asset
  • le modalità di leadership che assicurano una direzione all’azienda
  • e tutti i modi per accrescere e nutrire la creatività propria e quella degli altri.

Del suo intervento mi restano impressi alcuni concetti. Per esempio il consiglio di “affiliarsi, e avere come partner solo good e best brands“. La fretta di creare relazioni e l’ansia da network, qualche volta, può portare a scelte sbagliate e al rischio di avvicinarsi a organizzazioni che non rispecchiano perfettamente i valori in cui crediamo e che, invece, dovrebbero essere l’elemento più prezioso da proteggere.

Mi è piaciuta moltissimo anche la sua riflessione sulla necessità di continuare ad investire sulla ricerca e sviluppo e il suo è un consiglio davvero pertinente. Dice che il modo più economico, più solido, più promettente di fare ricerca sviluppo è quello di rivolgersi alle università che hanno sempre bisogno di lavorare a progetti nuovi e mettono a disposizione le menti migliori, oppure ad coinvolgere o punzecchiare i propri migliori fornitori che non perdono occasione per investire nel consolidamento e nell’espansione del loro ruolo/rapporto.

Racconta del suo staff variegato, fatto artisti di ogni tipo oltre che di impiegati ed executive: ci sono ballerini, coreografi, scenografi, costumisti, ingegneri, pittori, montatori, scultori… dice che ogni nuova idea viene scavata e sviscerata fino in fondo per riuscire a cercare la tecnologia, la modalità di realizzazione o la strada per applicarla negli show e renderli ancora più incredibili.

Lamarre insegna che non c’è cosa peggiore che deludere la propria fan base e ammette di essere sempre gentile, mai arrogante con nessuno perché, in effetti, chiunque potrebbe essere un suo cliente un giorno, oppure un suo partner. Dice che non si dovrebbe mai smettere di esplorare nuove possibilità e che, per essere sempre i numeri 1, bisogna sempre fare scelte insolite, azzardate e proporre qualcosa di speciale e nuovo.

Racconta che, una volta, un imprenditore nel settore del turismo gli ha rivolto una proposta/richiesta stramba che, inizialmente, sembrava poco affine agli obiettivi di Cirque du Soleil. Lamarre ammette che avrebbe subito rifiutato la collaborazione ma che scelse di provare ad indagare ugualmente la possibilità e che, alla fine, questa fu un’occasione per creare un nuovo format di show, il dinner show, ovvero uno show Cirque du Soleil che però è alla portata di resort e strutture più semplici e può toccare ed emozionare il pubblico con una nuova prospettiva.

E poi un’ultima cosa che mi ha colpito perché riflette perfettamente il mio modo di sentire e vedere lo storytelling. Lamarre a WOBI 2020 dice che qualsiasi cosa ci capiti, ogni evento, ogni occasione (nella vita ma anche nel business) andrebbe capitalizzata al massimo e non solo in termini di risultato, ma anche di percorso, di storia. Sapere mettere in relazione un evento con la propria storia personale è un modo straordinario per aumentare il suo significato, per darsi nuovi scopi, per migliorare e rendere più solida la propria esperienza e rendere la narrazione più intensa, vera e ricca

Amy Webb, a futurist

Il secondo giorno di WOBI 2020 inizia con Amy Webb che è una professoressa di Strategic Foresight, ovvero di tecnica di previsione strategica.

Il suo è un’intervento che calza a pennello in questo momento storico caratterizzato dalla enorme incertezza che questa pandemia e questo distanziamento sociale sta causando. Dice che ora è come se ci stessimo muovendo, come umanità, come individui e come aziende, come delle auto su una strada ghiacciata e scivolosa. Non è importante dove vuoi andare… l’auto va dove vuole e tu non hai nessun controllo.

Amy Webb lavora anche come consulente per il futuro, lei si definisce quantitative futurist, e con la sua società di consulenza, si occupa anche di sviluppare e individuare strategie fondate su previsioni sul futuro. Sembra fantascienza o alchimia, ma è molto più ragionevole: quello che fa è raccogliere dati e segnali nel presente, valutarli e confrontarli con dei modelli che possano mettei in relazione tra loro e definire degli scenari, delle ipotesi su cui immaginare piani di azione e strategie vincenti.

Perché un’azienda sia un pathfinder, cioè riesca ad aprire nuovi percorsi esplorando alternative non scontate, serve:

  • un mindset flessibile
  • un pensiero che scorra in avanti e in indietro sulla linea del tempo
  • la costante attitudine a ri-calibrare le proprie scelte e azioni
  • e l’applicazione di un iterative foresight process.

Amy Webb mette a disposizione il suo, dice che questo delle 11 Macro Sources of Change è quello che applica lei nei suoi studi. Si è accorta che ogni grande cambiamento e innovazione è il risultato di un elemento di disruption in almeno 1 delle seguenti aree. Individuare alcuni segnali/trend di cambiamento in queste aree e unirli, come punti, è il primo passo per intravedere possibili ondate di cambiamento che andranno, senza dubbio, ad influenzare anche il proprio business.

Wobi WBF Milano 2021

Certo, il segreto è accorgersene prima degli altri e avere il coraggio di fare qualcosa, di prendere nuove strade da subito!

Rachel Botsman: la fiducia è la moneta per le relazioni

L’intervento di Rachel Botsman a WOBI 2020 arriva delicato, come lei, ma si intrufola dentro la mia immaginazione e cambia tutto.

La Botsman descrive la “fiducia” come quella forza che ti fa saltare da una sponda known verso un’altra sponda unknown prendendoti il rischio di bagnarti o annegare nel mare dell’incertezza.

La fiducia è quell’elemento che, se l’ abbiamo, ci rende confident, ci fa compagnia in una relazione incerta, in un momento incerto, con qualcuno che non conosciamo.

E, infatti, la fiducia più profonda in assoluto è quella che si prova verso qualcuno e ci lascia sereni anche se non sappiamo cosa esattamente cosa l’altro stia facendo o pensando.

Quel salto, dalla sponda known a quella unknown, si definisce trust leap, ovvero salto, balzo di fiducia ed equivale a prendersi un rischio di fare qualcosa di nuovo o di farlo in modo diverso da prima. In quanto esseri umani, però, il tema del rischio non è esattamente nelle nostre corde: di solito, soprattutto in momenti di grande incertezza, cerchiamo istintivamente ciò che è sicuro, ciò che è certo, ciò che è stabile.

E quando il rischio è davvero alto abbiamo 2 strade per affrontare il salto:

  • abbassare il livello di rischio, es. chiedendo già trasparenza, più rassicurazioni
  • o aumentare la nostra tolleranza all’incertezza.

Rachel Botsman non crede che la trasparenza, che la rassicurazione siano le strade giuste per guidare le persone anche perché la totale trasparenza è un elemento impossibile da garantire, specialmente in azienda.

Crede più che la fiducia sia qualcosa che si può mantenere adottando un approccio empatico, un atteggiamento aperto e compassionevole, dimostrando avere a cuore e di prendersi cura dell’altro, ma più di tutto, la fiducia è figlia della coerenza, della costanza del proprio comportamento, consistency in inglese. Piccolo atti e comportamenti stabili e nella stessa direzione, sono il modo migliore per guadagnarsi la fiducia di qualcuno e per mantenerla nel lungo periodo.

Carla Harris, 20 anni sulla strada

Carla Harris è una delle 50 black executives più potenti in USA, di lei mi colpiscono al cuore l’atteggiamento amichevole, il sorriso luminoso e l’accento così americano.

Mi piace da morire perché racconta prima di tutto la sua storia, di donna di colore che ha scalato Wall street solo con la sua forza e la sua competenza.

Resto affascinata da uno dei suoi consigli più preziosi: dice che quando ha una presentazione o una trattativa, al tavolo ci porta tutte le Carla che ha: la Carla manager, la Carla cantante, la Carla cuoca, la Carla sportiva, la Carla figlia, mamma, sorella, perché la propria autenticità, l’essere pienamente se stessi è un elemento che fa distinguere da chiunque altro e rende vincente.

Rivela un segreto che tutti sappiamo in realtà: dice che al mondo sono pochissime le persone che sono perfettamente a loro agio in quello che sono, comfortable in their skin. E dice che quando la maggior parte delle persone incontra qualcuno che, al contrario, sta bene con se stesso, tutti ne sono attratti e come calamitati, non possono fare a meno di seguirlo. E ribadisce una cosa che penso anch’io: le persone non temono in cambiamento, tutti cambiamo qualcosa continuamente. Le persone hanno paura dell’incertezza ma se hanno davanti quel leader che li fa sentire al sicuro, lo seguono ovunque.

In ogni caso, la parte più incredibile del suo discorso è, secondo me quella sulla paura. Dice che qualsiasi cosa diciamo o facciamo avendo paura, non ci porterà da nessuna parte, anzi, ci farà mancare il bersaglio o colpire troppo basso per arrivare. Il coraggio è l’unica arma che funziona: il coraggio di dire le cose come stanno, di non nascondersi, di ammettere di non sapere, di prendersi le proprie responsabilità.

James Cameron, alzare la barra

L’intervento di James Cameron a WOBI 2020 è quello che aspetto con più trepidazione e curiosità: ed è anche quello che mi lascia più ispirata e felice. Cameron è regista e produttore di film come Titanic, Terminator e Avatar e parla al WOBI della sua esperienza di leader e di storyteller di fama mondiale.

Cameron si collega dallo studio in Nuova Zelanda da cui sta lavorando alla post-produzione di Avatar 2, Avatar 3 e Avatar 4 e precisa che il 4 sarà completato solo se il 2 sarà un successo. E qui arriva una delle più importanti riflessioni che gli sento fare: dice che per realizzare un sequel di successo è fondamentale, prima di tutto, capire perché il film precedente aveva avuto successo.

A proposito del suo Avatar, descrive come si sia rivelata un’opera incredibile che ha emozionato le persone in tutto il mondo, uomini e donne appartenenti a tutte le culture, compresi i popoli indigeni.

Per capire questo successo sono state realizzate interviste e ricerche, da team diversi in diversi paesi, e tutti sono arrivati alle stesse conclusioni: Avatar piace perché racconta un’esperienza umana universale. Racconta una versione di noi che abbiamo dimenticato e a cui, intimamente, aspiriamo a tornare. Il popolo blu di Avatar, forte della sua profonda devozione verso la natura, incarna la migliore versione di ciascuno di noi che, invece, ci siamo staccati da certi valori e, grazie a questa storia straordinaria, è come se ci rendessimo conto di cosa abbiamo perduto.

Ed è, questa, una lezione di storytelling potentissima.

Cameron descrive la sua come una vita in costante salita, alla costante ricerca di una barra più alta da saltare. Dalle sue parole, la sensazione che arriva a me è quella di un uomo/artista che si pone sempre obiettivi incredibilmente superiori a quanto potrebbe ragionevolmente arrivare con i suoi mezzi. Dice di amare l’idea di risolvere problemi complessi e questioni complicate perché è convinto che, da quel processo di soluzione, si generi sempre qualcosa che nessuno ha mai visto e mai provato prima. E’ costantemente mosso da un intento: realizzare il film più bello di sempre. E questa è l’occasione per una riflessione sulla sua leadership: racconta che ci sono stati momenti, nel corso della produzione dei suoi film, in cui erano in ritardo sulla tabella di marcia, la troupe era stanca, gli attori iniziavano ad avere dei dubbi sui loro personaggi e un naturale sentimento di incertezza e delusione iniziava a contaminare l’atmosfera. Cameron rivela il suo segreto: in quei momenti lui prende le persone e le riporta indietro, nel passato, nell’istante in cui hanno creduto in quel progetto, in cui hanno scelto di far parte di quel team e chiede loro: cosa vi aveva convinto in quel momento? qual era l’obiettivo che vi ha eccitato a tal punto. E dice Cameron, che il solo fatto di portare il team a toccare, di nuovo, quella sensazione di entusiasmo nel passato, fa ritrovare le forze per affrontare il presente.

E ultima riflessione, la più bella e luminosa del WOBI a mio parere. Cameron dice che il distanziamento sociale che viviamo, i lockdown, il tele-lavoro, il coprifuoco sono tutti elementi che, in questa fase, stanno regalando uno spazio enorme e inaspettato alla tv on demand, allo streaming e alla tecnologia, ma sono anche le forze che ci stanno facendo desiderare più di ogni altro momento storico di tornare al contatto, alla vicinanza, a riempire i teatri e i cinema e a vivere le esperienze insieme!


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