Un confronto sintetico tra previdenza INPS e previdenza complementare

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INPSAvere il polso della situazione per quanto riguarda la previdenza pubblica e quella privata o integrativa è più importante che mai. Affinché la previdenza di Stato risulti più redditizia o conveniente occorre un PIL che procede a gonfie vele – come quello della Cina, tanto per intenderci. Mettiamo giù il concetto con qualche numero: se un giovane che oggi ha 20 anni versa 100 euro al mese fino a 67 anni, raggiunta quell’età potrà beneficiare di 155 euro mensili (al netto delle imposte e delle commissioni) se li ha versati all’INPS (calcolando la rivalutazione in base al PIL, come prevede il calcolo contributivo), mentre godrà mediamente di 418 euro mensili se li ha versati in un fondo di previdenza complementare di tipo bilanciato. Se li avesse versati negli Stati Uniti la sua pensione mensile a 67 anni potrebbe essere di 225 euro e in Cina addirittura potrebbe superare i 2000 euro – ma comunque per noi italiani la possibilità dei versamenti all’estero non si pone, è solo questione di capire come funziona il meccanismo di rivalutazione in base all’andamento dell’economia.

Questa considerazione è valida fino a oggi: i fondi pensionistici privati (di categoria e non) hanno reso meglio dei versamenti all’Inps rivelandosi altamente convenienti rispetto ai versamenti pensionistici pubblici. Certo, tutte questo vale per chi è capace di accantonare le somme con disciplina, costanza e senza saltare gli appuntamenti. E anche per chi ha saputo scegliere i prodotti giusti con i costi più bassi – sulle nostre pagine diamo spesso consigli in questo senso.

Sta di fatto che da quando si è passati al sistema contributivo in Italia, il destino delle pensioni è stato legato a filo doppio a quello della crescita economica del Paese. La recessione ormai ventennale che ci affligge è ciò che penalizza tanto i rendimenti. Se il rendimento pensionistico fosse agganciato al PIL dell’Eurozona, potremmo arrivare a 189 euro per l’ipotetico ventenne di oggi arrivato a 67 anni, una quota relativamente più alta, ma non pari a quella della previdenza complementare.

Appare quindi saggio non trascurare affatto la previdenza complementare, soprattutto per coloro che hanno la possibilità di iscriversi a un fondo di categoria, nel quale le aziende versano un contributo aggiuntivo. Fino a oggi la previdenza complementare ha sempre goduto di un trattamento fiscale agevolato, sia per quanto concerne i fondi di categoria che quelli aperti: i contributi versati possono essere dedotti dall’imponibile Irpef annuale fino a un massimo di 5.164,57 euro. I rendimenti annuali vengono tassati dell’11%, contro il 12,5% di tassazione applicato sui titoli di Stato e sui Buoni postali e il 26% che vale per tutti gli altri strumenti finanziari. Sulla prestazione finale si applica un’aliquota del 15%, che però si riduce dello 0,30% per ciascuno anno di partecipazione dopo il quindicesimo: questo significa che dopo 35 anni di versamenti l’imposta finale si limiterà al 9%.


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