‘La Terza rivoluzione industriale’, l’ultimo libro di Jeremy Rifkin

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La terza rivoluzione industriale è il titolo dell’ultima pubblicazione di Jeremy Rifkin, economista, scrittore, saggista, consigliere politico e attivista statunitense che da decenni studia l’impatto dei mutamenti scientifici e tecnologici sull’economia, la società e l’ambiente.

In attesa che il testo venga tradotto in italiano, possiamo anticiparne i contenuti in maniera sintetica.

Volenti o nolenti, la “Terza rivoluzione industriale” è già in atto e la crisi dell’economia dovrebbe stimolarci a cambiare i modelli economici dell’attuale società. La dipendenza dal petrolio e da altri combustibili fossili porta a un aumento della benzina e del cibo, mentre la disoccupazione resta alta, il mercato immobiliare è bloccato, il debito dei privati e dei governi lievita e la ripresta stenta. L’umanità ha bisogno di un progetto economico sostenibile per guardare al futuro.

Mentre durante la Prima rivoluzione industriale si viveva grazie alla ricchezza prodotta, nella Seconda (iniziata alla fine degli anni ’70) si è iniziato a vivere vivere di debito, entrando così in uno schema ciclico di crisi che porta dalla recessione ai tagli sulle spese e allo stimolo alla ripresa con l’aumento dei consumi. Che porta ad un aumento del costo delle materie prime, quindi a un aumento di prezzi e a un nuovo bisogno di debito. Quello che bisogna cambiare è paradigma economico. Nella Terza rivoluzione industriale bisognerà cessare il consumo delle ricchezze del passato e ritornare a produrre con l’aiuto della creatività.

Per quanto riguarda la gestione dell’energia occorrerà passare da un mondo fatto di società multinazionali centralizzate che si basano sui combustibili fossili a una miriade di piccoli produttori capaci di generare a casa, negli uffici e nelle aziende la loro energia da fonti rinnovabili e di vendere il surplus condividendolo su una rete assai simile a quella di Internet. Sarà un “democratizzazione dell’energia” dove il network ha un’importanza fondamentale.

Nel commercio il rapporto che contrappone venditore e compratore come avversari deve essere sostituito da una relazione collaborativa tra fornitore e utilizzatore. Entreremo in un “capitalismo distribuito”, insomma.

La politica deve passare dal modello rigido e centralizzato con schieramenti di destra e sinistra a una generazione di leader che collaborano e socializzano via Internet, anche qui in maniera distribuita e collaborativa.

Il Pianeta non deve più essere concepito in modo utilitaristico come mero contenitore di risorse da sfruttare, bensì come qualcosa da proteggere.

L’istruzione deve essere ripensata nella direzione della distribuzione e della collaborazione e non più come rigido insegnamento dall’alto e memorizzazione di nozioni dal basso.

Tanto materiale su cui riflettere. E’ comunque importante che la comunità internazionale inizi a prendere in considerazione che l’inno alla crescita non è più la soluzione dei nostri problemi finanziari e ambientali – anzi, forse ne è la causa. A questo proposito, un’altra lettura consigliabile è quella di Futuro sostenibile, testo curato da Wolfgang Sachs, direttore del Wuppertal Institut (478 pp., edizioni Ambiente), che elabora con rigore progetti e sistemi politici e sociali per provare a guardare in direzione diversa verso un futuro sostenibile.


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