Titoli di stato dei paesi emergenti e non-euro: quali sono i migliori?

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In un’ottica di diversificazione, costituiscono una buona opportunità i bond dei Paesi emergenti o fuori dall’area dell’euro. Quelli che attraggono maggiormente le attenzioni in questi ultimi tempi, non sono più i buoni del Tesoro statunitense, né quelli in franchi svizzeri (i rendimenti sono praticamente nulli, anzi, si rischia di perdere il capitale), bensì quelli di paesi ricchi e virtuosi come Australia, Nuova Zelanda, Canada, Norvegia, Svezia e Danimarca. Fra i BRICS spiccano Brasile, Cina, Russia, Sudafrica (ovvero, tutti eccetto l’India). Le obbligazioni di queste nazioni sono soggette ad alta volatilità, ossia a notevoli sbalzi nei rendimenti. Questo fatto è dovuto a due fattori: in primo luogo, le loro performance sono strettamente legate all’andamento delle quotazioni delle materie prime; in secondo luogo, non è mai possibile prevedere come andrà il cambio con l’euro. Ad esempio, nell’ultimissimo periodo queste obbligazioni di stato hanno subito una perdita di valore perché l’euro si è leggermente rivalutato e le materie prime sono un po’ scese. Che cosa dobbiamo dedurne? Che si tratta di investimenti inaffidabili oppure che questo momento in cui l’euro è forte è adatto per comprare a prezzi bassi? Secondo i consulenti è meglio mantenere piccola la porzione di portafoglio dedicata a questo prodotto finanziario. E poi non fidarsi del proprio intuito, preferendo comprare quote di fondi quotati a Piazza Affari specializzati in mercati emergenti.


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