Consulenza finanziaria: che cos’è il divieto di inducements?

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inducementsQuello degli inducements (letteralmente “induzioni” o “incentivi”, secondo la traduzione ufficiale italiana) è un tema complesso, magmatico, scottante. Un tema di cui le imprese di investimento, ma soprattutto i risparmiatori, hanno faticato a comprendere perfettamente il meccanismo. Nonostante, infatti, fiocchi il contenzioso tra intermediari e clienti per quel che concerne la violazione di una serie di regole di condotta, non ci si è ancora imbattuti in una causa in tema di inducements.

In prima approssimazione, per inducements si intende ogni tipo di onorario, commissione o beneficio monetario o non monetario pagato o fornito da terzi agli intermediari finanziari in relazione alla prestazione di un servizio di investimento o accessorio ai clienti. Sono inclusi nelle definizione anche i flussi di pagamenti di senso contrario, quelli effettuati dagli intermediari a terzi.

La disciplina degli inducements era contenuta nella Direttiva di secondo livello 2006/73/CE della Commissione europea, volta a implementare la MiFID I. Oggi, invece, è racchiusa nell’art. 24 della MiFID Review (Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014).

In particolare, la lettera b) del paragrafo 7 di tale articolo vieta ai consulenti finanziari indipendenti di accettare e trattenere onorari, commissioni o altri benefici monetari o non monetari pagati o forniti da terzi o da una persona che agisce per conto di terzi in relazione alla prestazione del servizio ai clienti, il paragrafo 8 prevede il medesimo divieto per la fornitura del servizio di gestione del portafoglio, mentre in base al paragrafo 9 le imprese di investimento non devono pagare o percepire un onorario o una commissione o un beneficio non monetario in relazione alla prestazione di un servizio di investimento o di un servizio accessorio a o da parte di un qualsiasi soggetto diverso dal cliente, a meno che i pagamenti o i benefici abbiano lo scopo di accrescere la qualità del servizio fornito al cliente e non pregiudichino il rispetto del dovere dell’impresa di investimento di agire in modo onesto, equo e professionale nel migliore interesse del cliente.

Queste previsioni si collocano al crocevia tra la materia delle regole di condotta e quella dei conflitti di interessi.

La ratio va ricercata nella necessità di assicurare la trasparenza (disclosure), nei confronti dell’investitore, della remunerazione percepita dall’intermediario. Infatti, l’art. 24, par. 9 prevede anche che l’esistenza, la natura e l’importo dei pagamenti o, qualora l’importo non possa essere accertato, il metodo di calcolo di tale importo, debbano essere comunicati chiaramente al cliente, in modo completo, accurato e comprensibile, prima della prestazione del servizio di investimento o del servizio accessorio.

Lo scopo è anche quello di assicurare la neutralità dell’agire dell’intermediario: il pagamento o la percezione di un incentivo potrebbe spingerlo a negoziare, collocare o raccomandare un determinato servizio, a prescindere dall’interesse del cliente.

Tra l’intermediario e il cliente si instaura un rapporto di agenzia in cui l’investitore sostiene un costo (il prezzo del servizio) quale corrispettivo dell’attività professionale ricevuta. Ogni forma di compenso che l’intermediario percepisce al di fuori di questo rapporto può danneggiare gli interessi dei clienti, causando un conflitto di interessi.

Le utilità economiche che potenzialmente possono rientrare nella definizione di incentivo sono molteplici. Nonostante quello degli inducements sia un tema centrale per la tutela degli investitori, l’applicazione e l’interpretazione della disciplina hanno lasciato aperti numerosi margini di incertezza già in sede di recepimento della MiFID I, e numerose sono state le richieste di chiarimenti da parte delle Autorità di vigilanza nazionali e delle associazioni di categoria.

Il problema si pone, ad esempio, in relazione agli accordi di retrocessione in denaro (hard commission) o in servizi (soft commission) fra negoziatore e gestore individuale o collettivo, ovvero fra negoziatore e raccoglitore di ordini, o ancora fra gestore collettivo e gestore individuale di GPF. Rientrano in tale categoria anche le convenzioni in virtù delle quali la società promotrice di un fondo di fondi beneficia della retrocessione parziale delle commissioni di gestione da parte della società di gestione dei cosiddetti OICR bersaglio. Quella descritta è una prassi particolarmente praticata nel caso in cui un intermediario si trovi a gestire un fondo di fondi o una GPF cosiddetti “multimarca” o “multimanager” (gestioni fondate sulla selezione di OICR anche non collegati a società appartenenti al medesimo gruppo dell’intermediario gestore).

Con l’avvento della MiFID, tali accordi sono considerati tutti incentivi.

Bisogna, quindi, accertare quali siano le pratiche ammesse, ossia quelle Mifid compliant, e quelle non ammesse. Le difficoltà si sono riscontrate soprattutto nella concreta applicazione e interpretazione della regola sull’effettivo accrescimento della qualità del servizio reso. Una retrocessione di commissioni lecita, per esempio, potrebbe essere quella finalisticamente vincolata, in quanto utilizzata dall’intermediario per procurarsi beni o servizi che possano avvantaggiare il cliente. Altri casi di accrescimento della qualità del servizio si hanno quando il distributore offre anche il servizio di consulenza in materia di investimenti, l’investitore ha accesso a una più ampia gamma di prodotti e il distributore si impegna a forme di assistenza dell’investitore, soprattutto in fase post vendita.

Inoltre, a livello di prassi, ancor prima dell’approvazione della MiFID Review, la Consob aveva già previsto il divieto di inducements per la gestione individuale. Nel documento “Consob – Prime line di indirizzo in tema di inducements” si legge, infatti, che «[…]il servizio di gestione individuale è, fra i servizi di investimento, quello a maggior valore aggiunto, quello in cui l’assistenza al cliente si traduce, tipologicamente, nell’effettuare dinamicamente per suo conto dirette scelte di investimento/disinvestimento, nell’ambito di uno specificato perimetro gestionale. Come questo contenuto tipico (e di qualità elevata) possa arricchirsi ed aumentarsi in ragione di commissioni retrocesse dalle società di gestione di OICR target non pare cogliersi […]».

Il meccanismo della retrocessione di commissioni rende opachi i costi del servizio di gestione in quanto costituisce una mancata percezione di un provento per gli investitori o una mancata riduzione di un onere (le commissioni di gestione) a loro carico. Il gestore potrebbe essere influenzato dal maggiore livello di commissione di gestione applicata: in questo modo la retrocessione che il gestore si garantisce sarà più elevata, in quanto calcolata in percentuale sulla commissione di gestione stessa.

Per evitare il conflitto di interessi e rispettare i principi di trasparenza e di correttezza di comportamento di cui sopra, la soluzione ottimale sarebbe quella di trasferire direttamente agli investitori il flusso reddituale proveniente dagli accordi di retrocessione.

I consulenti finanziari indipendenti, a fronte di un servizio scevro di condizionamenti, che non prevede la percezione di inducements da parte di banche, SGR o compagnie assicurative, utilizzano, quale criterio di remunerazione, una parcella corrisposta direttamente dai clienti. Vengono chiamati, infatti, consulenti fee only.

Ma i risparmiatori sono disposti a pagare una parcella per ricevere una consulenza indipendente sui propri risparmi?

Angela Gentile


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