Il precariato è un dramma, ma il vero problema è la mentalità italiana

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trovare_lavoroIl problema maggiore che l’Italia si trova ad affrontare è sicuramente di tipo culturale. Come mi sento spesso dire all’estero, la nostra mentalità è arretrata e incapace di adeguarsi ai veloci cambiamenti avvenuti negli ultimi anni. E’ finita un’epoca, soprattutto l’epoca del diritto a tutto e del tutto dovuto. Essere “imprenditori di se stessi”, quotidianamente e nello stile di vita è, oramai, l’assunto di base. Da noi manca la cultura del rischio. Lo ha ben descritto il Professor Alesina spiegando le differenze, nell’educazione alla vita e nella concezione del rischio, tra americani e italiani. E qualche tempo fa ne ha fatto un libro, intitolato Un mondo di differenze. Combattere la povertà negli Stati Uniti e in Europa. Abbiamo troppi dipendenti che non accettano la meritocrazia e l’idea di doversi conquistare quotidianamente i crediti necessari per mantenere il proprio lavoro e per poter aspirare a ruoli di maggior prestigio. Studiare, imparare, evolversi, aggiornarsi etc. Dall’altro, abbiamo troppi imprenditori che sono, purtroppo, i primi dipendenti della loro azienda. Niente di più. Dipendenti o imprenditori è lo stesso: sono italiani e ragionano da italiani.

Vi è la completa incapacità di vivere nell’incertezza. Incapacità di affrontare la vita con progettualità al fine di costruire il proprio futuro con un percorso personale lontano da stereotipi, diritti acquisiti e continue richieste di sussitenza allo stato. Questa incapacità non ci rende propositivi e competitivi. Si deve investire su se stessi in primis, sul proprio lavoro, sulla propria professionalità e sulla propria azienda. E deve essere chiaro che investire significa rischio, significa incertezza, significa sacrificio per ottenere risultati.
Per meglio capire proviamo a vedere cosa avviene nel mercato del lavoro (visto che la riforma del lavoro dovrebbe essere imminente) in altri paesi europei.

In Austria (paese europeo molto vicino a noi e che adotta l’euro come moneta) il contratto di lavoro potrebbe essere anche verbale. Ma, soprattutto, si può licenziare chiunque senza giusta causa. Un preavviso di quattro settimane: questo è l’unico obbligo. Eppure, al contrario di quanto potrebbe accadere in Italia, non vi è nessun dramma per questo “precariato” diffuso e normale. Anzi, i dati OCSE ci dicono che è il paese che ha meno ore di sciopero. Di più, la forza lavoro austriaca è tra le più produttive e le più qualificate. Ho conosciute aziende italiane che sono emigrate perchè in Austria hanno potuto trovare personale più qualificato rispetto al nostro paese. D’altronde in Italia sono 40.000 i lavoratori qualificati che si cercano, ma non si trovano.

In Inghilterra, Irlanda, Spagna, Portogallo gli stipendi e i salari sono stati ridotti. Si sono licenziati dipendenti pubblici. Si lavora di più e si guadagna di meno. In Gran Bretagna sono circa 700.000 i licenziamenti nel settore pubblico, ma con le politiche favorevoli sono circa 3 milioni i posti creati nel privato. L’Inghilterra, oggi, è la locomotiva d’Europa per la maggior crescita registrata: 3% di Pil. La spending rewiev di quasi 200 miliardi e la riduzione delle tasse fino al 20% ha creato posti di lavoro nel settore privato dimezzando la disoccupazione in un anno e mezzo. Certo non alle stesse condizioni del 2007. Ma neppure negli stessi Usa non è stato il quantitative easing a creare lavoro, bensì la realizzazione di condizioni competitive (in alcuni casi dimezzando i salari).

Nella stessa Germania la riforma del lavoro nel lontano 2003 ha prodotto milioni di tedeschi a reddito basso e a tempo determinato. I socialdemocratici hanno voluto, per stare nella coalizione, portare i salari minimi a 8,5 euro all’ora. Le analisi di alcuni economisti tedeschi hanno stabilito che l’aumento dei salari provocherà nei prossimi anni un milione di disoccupati.

Il paese culturalmente più vicino a noi è la Francia. Non a caso è uno dei paesi più in difficoltà. Non riesce ad uscire da una crisi di lavoro e di produttività preoccupante.

In pratica il mondo è pieno di precari, ma da noi è un dramma.
Se poi, ci rivolgiamo ai fondamentali dell’economia è palese (lo spiegava proprio venerdì in un convegno il professor Pelanda) che per essere competitivi si deve ridurre il lavoro e la presenza pubblica (lavoro improduttivo) ed investire in modo strategico nel lavoro produttivo e competitivo (turismo, arte, lusso, eccellenza). E’ un controsenso pensare di avere nello stato più efficienza, meno sprechi, più produttività e meno burocrazia senza voler ridurre i dipendenti pubblici (molti studi hanno quantificato in 1 milione le persone da trasferire nel privato-produttivo).

Assumere 30.000 insegnanti è l’esempio della direzione sbagliata. Dagli anni 80 le nascite si sono ridotte rispetto al passato e le classi sono diminuite, ma noi assumiamo come se fosse un diritto fare l’insegnante anche in mancanza di un “mercato” in grado di assorbire nuova forza lavoro. Non esiste un altro settore pubblico che abbia 1 milione di dipendenti come la scuola. E con pessimi risultati.

Esistono lavori che, per quanto sostenuti da lunghissimi anni di studio, non hanno più mercato e qualcuno a queste persone dovrebbe dirlo, non garantirgli un inutile posto fisso. Non sta scritto da nessuna parte che si debba fare lo stesso lavoro (e te lo debbano garantire) per tutta la vita.

Potremmo dilungarci all’infinito, ma il risultato sarebbe sempre lo stesso: il sistema Italia è fallimentare perché la mentalità è fortemente deficitaria rispetto a quanto necessario. Il cambiamento vero ci sarà quando si smetterà di chiedere aiuto allo stato e si comprenderà che lo stato deve indietreggiare e liberare “l’imprenditore di se stesso”; perché l’economia è diretta conseguenza della mentalità di un popolo.

Nicola Argeo Mastropietro
Consulente Finanziario Indipendente

1 commento su “Il precariato è un dramma, ma il vero problema è la mentalità italiana”
  1. leonello ha detto:

    Salve articolo ad dir poco eccezionale condivido a pieno e tutti i giorni mi sgolo con le persone che non fanno altro che dire è colpa di quello dello stato etc etc etc…
    Posso condividerlo nel mio blog?
    mettero il link del vostro articolo

    Con stima Leonello
    http://www.distributorefm.com


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